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lunedì 1 luglio 2013

Primo giro di altalena - African Journal DAY 3

(Stai leggendo una pagina di AFRICAN JOURNAL - il diario del mio viaggio in Zambia nel 2012.
Trovi il resto sotto l'etichetta Africa. Sì, qui le cose semplici vanno alla grande.
Se vuoi altre info sull'associazione con cui sono partita, scrivimi, orsù: esplorattrice@gmail.com)

h 8:25 Chipata ZAMBIA - DAY 3

Primo risveglio nella casa dei preti comboniani di Chipata.
Chi l'avrebbe mai detto. Io no di certo: dormire in una missione in Africa. CELO
Emozionata come una bimba a Natale. 



Tanto per mettere subito le cose in chiaro: mi aspettavo una situazione ben più "altra".
Viviamo come ospiti, serviti e riveriti. Senza fronzoli ma mancano giusto quelli.
E si, manca l'acqua calda e la corrente, random. Ma mica sempre.
Tolto questo, è tutto molto semplice e comodo.

Allontanati i letti dalle pareti, dimora di ragni di proporzioni continentali, la notte scorsa è stata tranquilla e l'inizio giornata con il lauto pasto europeo ci ha messi davvero a nostro agio.
Tutti si. Carcerati compresi, nonostante abbiano patito la scomodità delle brande.

Al momento siamo in riunione con Bambo Francis.
Siamo seduti in cerchio davanti alla sua scrivania. Al cospetto del Boss.
Ordine del giorno:
1) definire con buona approssimazione, il programma delle attività per i prossimi giorni.
2) capire dove dormiremo a partire dal 13° giorno di viaggio o giù di lì, dal momento che qui arriverà una comitiva di suore scalmanate e non potremo restare.
No dai. Sfrattati dalle suore no.
E no, non saranno scalmanate. Mi piace pensarlo ma invece pare abbiano in programma questo ritiro silenzioso, roba di preghiere e zero frivolezze, nemmeno Passami il sale. Non saremo ammessi al festone. Peccato eh.

Con Bambo Francis stiamo valutando le applications di richiesta dei pozzi che provengono dai villaggi.


Applications: lettere scritte a mano dai capivillaggio, che espongono le motivazioni per le quali è importante - o vitale - per la loro comunità avere un nuovo pozzo. Vengono anche elencati nome, cognome degli abitanti del villaggio, il numero di bambini, di donne e di uomini.

La solennità del momento è notevole, queste valutazioni faranno la differenza per migliaia di persone.
Mi gira un po' la testa. E non è la profilassi antimalarica.
E' un momento determinante e se mi soffermo a pensare a quanto stiamo facendo sento tutta la responsabilità del caso.
Sono qui da meno di 24 ore e sono già su un'altalena di emozioni marcia turbo. E siamo solo al primo giro.

La colazione abbondante ci è stata servita da un pimpante Padre TeméRughet.
Ora. Questo nome. Non è un blasfemo appellativo. E' il suo intercalare costante.

TeméRughet: slang bergamasco prestato alla savana subsahariana. Significato: mi hai scartavetrato la pazienza/sono piuttosto infastidito dal tuo noioso ostacolarmi.
Il nostro ospite ci insegna ad usare il colorito termine senza alcuna parsimonia.
Ci ha letteralmente conquistati. Vince a tavolino con gli altri bambi. Non c'è gara, riponete la mitra al chiodo.


Ebbene, si diceva: abbiamo cominciato la nostra prima giornata interamente africana, seduti insieme intorno ad una tavola imbandita e la marmellata di mango è già quasi finita.

Ora intorno a questo secondo tavolo scopriamo che dal 13° giorno dormiremo in un'altra missione ad un ora da qui: Mpangwe. Pare eh. Che qui di certo c'è solo il sole.

h 19:30

La riunione di stamattina è stata seguita a bomba da numerose notizie.
Nel giro di poche ore è successo tantissimo. Poi uno dice, la calma africana. Non proprio.
Ora, forse per il buio e l'assenza di corrente, per il silenzio ovattato là fuori - e aggiungici pure - per il rimasuglio di stanchezza del viaggio, mi sembra già notte fonda.

Stamattina, post riunione, la prima destinazione è stata la ditta di Curry.
Curry è l'indiano che gestisce l'impresa che scava i pozzi e compie varie altre opere.
Lavora anche per Bambo Francis da molti lustri.
Ho conosciuto Agosto,  l'operaio la cui foto campeggia nel mese omonimo del calendario dell'associazione di quest'anno. Era di fianco all'escavatrice, esattamente come nella foto scattata lo scorso anno. Gli ho promesso una copia del suddetto calendario. Si è preso benissimo, nel giro di mezz'ora mi ha chiesto tre volte quando glielo avrei dato.  
Te lo porta il prossimo gruppo di volontari, tra tre settimane. Stai sereno, Agosto.
Ha un sorriso contagioso.

L'incontro col nipote di Curry è stato una doccia fredda.
Prima rottura di palle:
Il bonifico con il quale abbiamo pagato lo scavo dei primi pozzi è ancora disperso. Alla loro filiale non risulta pervenuto il trasferimento disposto dalla sede di Londra della loro banca.
A noi non è ancora chiaro perchè ci abbiano segnalato la banca intermediaria per ricevere l'acconto.
Con Risola e Mennea si è poi ipotizzato che il cambio dollari - kwacha al momento sia sfavorevole e pertanto l'attesa per portare il denaro sul conto zambiano sia "strategica". E' solo una ipotesi.
Quel che è certo è che ad oggi Curry Junior e compagniabella non hanno ancora ricevuto la notifica sul loro conto e chiedono a noi il motivo.
La seconda questione, assai più grave, riguarda i tubi di acciaio inossidabile.
Che non ci sono, mortacci loro.
Curry Junior ci informa che la ditta che li rifornisce, dalla capitale del Paese, ne è sprovvista ma non preoccupatevi, costerebbero di più quelli galvanizzati che abbiamo qui, guarda un po', ma ve li facciamo allo stesso prezzo.
Ehi amico, ci stai sottovalutando. Siamo italiani. Non tra i più furbi, ma le sòle, più o meno, le annusiamo.
I tubi di metallo galvanizzati - imparo ora - sono un pacco. Ce ne mostrano uno come sample - già si vede la ruggine alle estremità.
L'inglese, che noi parliamo bene ma non perfettamente, non è un grande aiuto nel definire la trattativa. Capiamo che i 3 pozzi già scavati sono stati completati con questi tubi.
Dureranno in buone condizioni un tempo inferiore rispetto a quelli in acciao inox.
E la bile si impenna, diodellecittà.

Ora. I tubi in inox. Erano il punto fermo della trattativa via mail degli ultimi mesi tra Curry e Piedone Il Presidente. Li avevamo richiesti alla fine degli scavi dello scorso anno, appena compreso che utilizzarli avrebbe dato un valore ben più duraturo alle nostre opere.
Li abbiamo richiesti per mesi via mail, ci siamo assicurati che i volontari del gruppo precedente ribadissero il dettaglio determinante.
Vojo dì: era chiaro il concetto no?
Come è possibile?
Ora parlano di due/tre settimane per procurarli. Maybe. E' tutto maybe qui.

Noi dobbiamo vedere i pozzi finiti e portarne testimonianza ai soci dell'associazione, prima di ripartire, tra tre settimane.
Tre settimane nelle previsioni di chi conosce la vita qui, potrebbero anche diventare un'attesa di mesi.
C'è una pseudo milanese in me dopotutto. E' lei che ha i nervi a fior di pelle in questo momento e non è l'unica.
Respiro, respiriamo.

Ci hanno fottuto, maledetta l'India.
Siamo spiazzati.
Qua mica ci sono le pagine gialle per trovare in fretta ditte più serie. 
Lasciamo la sede di Curry senza sapere come affrontare la situazione. Fatico a rispondere al sorriso a 56 denti di Agosto, mi spiace, non è colpa sua.
Sconsolati. E siamo qui da poche ore. Non è davvero un bell'inizio.

E mò?

Non passa nemmeno un'ora ed ecco piovere dal cielo (a ribadire che da queste parti proprio non ti aspetti di imbatterti in una alternativa immediata) una possibile soluzione.
Siori e siore: succede l'incredibile.

Se vabbè. Non ci par vero.

Passiamo dal disagio e dalla rassegnazione provata al cospetto di un ostacolo inevitabile -
all'emozione di sorpresa regalataci da un "concorrente" zambiano che spunta dal nulla esattamente al momento giusto.
Siamo nel centro di Chipata, per prelevare e cambiare i dollari nella moneta locale. Bambo Francis viene fermato da un uomo, presentatogli da un conoscente. Ha sentito parlare degli scavi. Sostiene di avere il necessario per scavare i pozzi a regola d'arte, coi tubi in acciao inossidabile e a prezzo inferiore a quello di Curry.
Natale proprio.
L'uomo lascia il biglietto da visita.

Se vabbè.
Non ci par vero.

Telefoniamo.
Fissiamo un incontro nel pomeriggio.
Lo incontriamo alla missione. Il nostro ufficio è una panchina di pietra, circolare, tutto intorno i fiori inaffiati da padre Temerughet. Surreale.
Domani andiamo a scavare con lui un primo pozzo, se il lavoro ci soddisfa abbiamo già trattato un prezzo sufficientemente conveniente per decidere di scavare con lui i prossimi pozzi.
Tubi in acciaio inox quantinevojamo.
Incrociamo le dita.

Sembra una piccola magia.
Meee, sono presa benissimo.

Siamo in Africa tuttavia. Piedone, Cuggi e il Nordico che hanno già sperimentato la vita di qui in precedenti viaggi, mi ripetono che gli accordi e le parole spese, troppo spesso e in modi che superano l'immaginazione, vengono disattesi.
Ascolto e imparo. Freno l'entusiasmo come consigliato ma resto presa bene. Meee.

A seguire un po' di tempi morti. Della sana nullafacenza. Oh finalmente. Siamo in Africa no? 

Un'oretta eh, mica esagerazioni. Siamo già pronti a ripartire.

Ci muoviamo con un pick up - blu elettrico, ammaccato e potente - bolide di Bambo Francis.
Stare sul cassone posteriore, in piedi coi capelli al vento è una specie di montagna russa, divertentissima e polverosissima.




Prima di uscire alcuni bimbi che da stamattina ci guardano da fuori dalla missione, si sono fatti coraggio e sono venuti all'interno. Una piccola delegazione capitanata da uno dei più grandicelli, avrà 10 anni, arriva e ci chiede in inglese se abbiamo un pallone.
Ne abbiamo una valigia piena di palloni di cuoio, da regalare nei villaggi. E' come regalare l'ultimo modello della playstation ad un bimbo italiano.
Francis ci dice di aspettare. E poi comincia a parlargli in cinjanja. Lo fa piano, con un tono molto dolce, sono una decina i cuccioli neri che lo ascoltano. Sembra un cinguettio. Gli rispondono sorridenti. Ora potete darglielo, ci dice.
Cosa gli hai detto Francis? 
Gli ho detto che possono giocare con questo pallone, ma che ogni sera lui è incaricato di riportarlo qui in missione, prima che il cancello chiuda.
Ah. Ma perchè non glielo regaliamo? 
Se glielo regaliamo arriverà un ragazzo più grande, glielo prenderà e andrà a rivenderselo.
Gonfiamo il pallone di cuoio e lo affidiamo al ragazzino.
Restiamo a guardarli mentre corrono a giocare, scalzi e felici. Una cucciola, avrà 3 anni? resta indietro. Una bimba più grande, avrà 6 anni? torna a prenderla, se la carica in spalla e raggiunge gli altri.



La tappa successiva è stata l'ufficio di Risola, dal quale abbiamo potuto nuovamente inoltrare a Curry e compagniabella la ricevuta che indica la richiesta di trasferimento. Che due cocomeri. Burocrazie anche qui?
A fianco all'ufficio hanno una splendida Home School. Ho intervistato Risola. Non ho resistito. Mi ha raccontato che non cambierebbe una virgola della sua vita ed è una delle cose più entusiasmanti che amo sentir dire alle persone. Lei e il marito si erano conosciuti lavorando qui in Zambia per delle Onlus italiane, si sono sposati in seguito in Italia, e dopo pochi anni hanno deciso di trasferirsi a Chipata definitivamente.
Sente un unico rimpianto ed è quello di aver mandato il figlio maggiore, che ora ha 15 anni a studiare nella capitale del paese.
Lo hanno fatto per assicuragli una istruzione di ottimo livello, che in questa cittadina di provincia non avrebbe mai trovato. Vive a 8 ore di macchina da loro da oltre 4 anni. Lo vedono raramente. E' sereno ma lei percepisce che la lontananza dalla sua famiglia sta diventando anche culturale. Parla poco italiano. A suo tempo la soluzione della Home School non le era conosciuta e possibile.

Avrei continuato ad importunare Risola con le mie domande intime ma dobbiamo andare,
Ci hanno invitato a pranzo venerdi, preparerò un nuovo interrogatorio. Lei e la sua famiglia hanno una storia che stimola la mia curiosità in maniera incontrollabile.
La loro scelta e la soddisfazione che percepisco nei loro occhi mi colpisce.

Torniamo alla missione.
Lo stupore è continuo. Osservo i dettagli della vita quotidiana delle persone che vivono qui, tra cui tanti tanti bimbi curiosi, sorridenti che ci salutano lungo la strada. Sembriamo Vip. Ci gridano eccitati AZUNGU che vuol dire Uomini Bianchi.
C'è tanta di quella che comunemente chiamerei miseria qui intorno, ma non la percepisco tale.
Il termine miseria lo collego a qualcosa di vicino alla sofferenza, alla mancanza di dignità e all'assenza di possibilità.
Qui manca tutto, la gente possiede pochissimo. Così noi percepiamo la loro esistenza. Ma non vedo sofferenza.
C'è.
Ce n'è di proporzioni che molti di noi non conoscono nè immaginano.
E' però nascosta da un velo palpabile di dignità e semplicità.
Non mi illudo che i sorrisi che incontro siano prodotti da una vita facile e serena. Le difficoltà qui sono crudeli, dure, ingiuste.
Tuttavia.
Serenità, lentezza, comunione. Volgo lo sguardo intorno e vedo questo.
Vedo ciò che cerco? 
E' il confronto, il continuo paragonarsi, volere "altro" che avvelena la nostra società? Qui Tutti hanno poco. Tutti si arrangiano. Molti si aiutano tra loro.
E' nel misurarsi e nell'isolamento che c'è assenza di dignità forse?
E' una faccenda da esplorare.
Dove nulla è scontato quello che c'è assume maggiore valore. Viene vissuto e "consumato" fino in fondo.
Cose che si sanno. Si. Si. Qui le vedo. Le vivono e io assorbo.

h 21:30
Le olimpiadi ci tengono svegli, ma ancora per poco credo.
Non sono in forma - sono piuttosto rintronata. Fatico a concentrarmi. Me ne accorgo mentre scrivo, mentre rileggo con fatica queste pagine. Non solo perchè non sono da premio Pulitzer intendo.

Bambo Francis è proprio Rock. Me lo aveva descritto Piedone il Presidente e ora che lo osservo posso confermarlo. Lo trovo ironico, tenero a suo modo. Mentre parlava ai bimbi del pallone oggi pomeriggio, sembrava un padre che racconta una favola ai suoi bimbi.
Chi lo conosce meglio mi dice però che lo trova spento, stanco, quasi triste.
Ha 80 anni e pochi mesi fa, ordini superiori gli hanno tolto la sua missione. Costruita in oltre 20 anni di lavoro. Ora è ospite a Mpangwe da un altro padre. La sua destinazione è un nuovo territorio a un paio d'ore dalla città, vicino al confine con il Mozambico. 
Perchè? 
Perchè lui sa costruire. Sa farlo. E questo è chiamato a fare. 
Ma porcogiuda c'ha 80 anni. Lasciarlo in pace no?
Mi viene da pensarlo. Ha una esperienza incredibile. 53 anni di Africa. Ha energia incredibile ma lo vedo un po' perso a volte. 
Stanchezza ed età hanno un peso anche su questa roccia rock. Lo aspetta un compito pesantissimo. Ricominciare da capo. Dove lo mandano non c'è nulla. Solo savana. 
Aspetto il momento giusto per intervistare anche lui.
E non solo su questi argomenti prevedibili. 
C'è qualcosa che devo chiedergli. E resterà  un segreto anche quando ci sarò riuscita. Riguarda la famiglia della mia mamma, che lui conosceva, prima di partire come missionario.

Quei bimbi che giocano fuori dalla missione mi stregano, potrei osservarli giocare per ore.
Si fermano spesso a loro volta a guardarci.
Scatto foto. Poi però smetto in fretta perchè provo un po' di disagio, vorrei essere invisibile ma sono "altro" rispetto a loro, perciò bloccano le loro attività e si avvicinano a me, così insolita ed esotica.

Plettro sta conoscendo meglio i suoi compagni di cella. 
Si stanno integrando più che bene. Non ho mai dubitato a riguardo. Anzi, credo proprio che l'affinità con Piedone e gli altri maschietti del gruppo, già fiutata nei mesi prima della partenza, sia stata una componente decisiva della sua scelta di tuffarsi in questa esperienza.

E' una avventura densa.
Due giorni passati qui sono stati sufficienti a staccarmi completamente dalla mia realtà. Sono in questo mondo pienamente.

Per la prima volta in tutta la giornata trovo il tempo di fermarmi a riflettere.
Sto vivendo qualcosa di splendido che ora, nell'azione reale - oltre all'immaginazione seppur vivida - assume un valore concreto, immenso.
Siamo qui con un progetto. E' così importante. 
Prima di partire ho immaginato situazioni, sensazioni. L'ho fatto ma senza esagerare. 
La realtà è incredibile, supera le mie aspettative e c'è un aspetto al quale tengo in particolare:
lasciarmi stupire
che è possibile solo vivendo nel presente.
Lo sto facendo.

Tutto questo lo vivo per me. 
E anche per te, papà. E per mamma. Che ora non possono viverlo. Non hanno più questa possibilità.
Sono grata. Per averla colta, per farne realtà. 
ZIKOMO. 
Vivo al 100% anche per loro.

Sono un po' frastornata ora. Sono le 22:00 ho bisogno di una dormita colossale, sono rimasta ormai sola nel salone tv, a scrivere. E' ora di tornare nella mia "suite" con Corista. Starà già ronfando beata.

Mi sento serena. E' uno stato prezioso che "sento", osservo e preservo con cura. 

2 commenti:

  1. Questa narrazione è leggera e fluida. E rapisce. E appassiona. Ma questo l'ho già detto!

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