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lunedì 10 giugno 2013

Immersione - African Journal DAY 2

(Stai leggendo una pagina di AFRICAN JOURNAL - il diario del mio viaggio in Zambia nel 2012.
Trovi il resto sotto l'etichetta Africa. Sì, qui le cose semplici vanno alla grande.
Se vuoi altre info sull'associazione con cui sono partita, scrivimi, orsù: esplorattrice@gmail.com)



  Intorno a mezzogiorno - Aeroporto di Lilongwe - MALAWI - Day 2

La fortuna ci assiste e nessuna delle valigie risulta dispersa.
E' il primo anno - nella storia dei viaggi dell'associazione - in cui almeno un bagaglio non si spara un qualche tour del continente prima di raggiungere la destinazione finale.
Ci sbrighiamo in fretta con i controlli alla dogana sanitaria e schiviamo il noioso controllo bagagli: ci è bastato nominare Bambo Francis "Quello dello Zambia? Si." par passare indisturbati.
Mafia italiana? diciamo una vera Star. La faccenda è già chiara.

Dalle mie parti, che sono poi anche le sue - dal momento che è nato nello stesso paese di mia mamma, chiameresti Bambo uno che è un po' un pirla. Qui invece è il Boss. Bambo è la traduzione di Prete o Padre, non saprei, ma è comunque un appellativo degno di nota.

Francis ci attende fuori dallo sgarrupato aeroporto con il furgoncino a 12 posti guidato dallo spumeggiante Mennea, volontario di una associazione laica di cooperazione internazionale.
Abbiamo appena incrociato Veterano, un nostro socio del gruppo che ci ha preceduti, perciò la staffetta con lo zainetto dei medicinali è andata a buon fine. Speriamo di non aprirlo mai.


La temperatura ohibò è piuttosto bassa, il sole è caldo ma l'aria è frizzantina, mi pare di stare in montagna e mi sembra pazzesco. Le maglie a manica lunga sono decisamente prioritarie rispetto ai solari coi quali ho appensantito la mia valigia.

Al momento di caricare i bagagli sul furgone si avvicinano dei ragazzi per aiutarci e ci metto un tot a capire che non fanno parte del nostro "gruppo accoglienza".
Chiedono euros e provo un po' di imbarazzo, mi pare di trovarmi in un parcheggio della provincia italiana da cui provengo, dove è consuetudine incontrare ragazzi africani che chiedono elemosina o provano a vendere bracciali, calzini e altri oggetti.
Bambo Francis fa segno di no, di non dar loro denaro.
Uno di questi ragazzi è effettivamente con noi, lo chiamerò Marlboro.
E' il driver personale che Francis utilizza per i suoi spostamenti. Da quest'anno, mi raccontano, la Star non guida più. In qualche modo gli 80 anni si fan sentire.

Marlboro è il primo contatto olfattivo ravvicinato della mia esperienza africana: appena si siede a fianco a me sul furgone avverto il suo odore forte, intenso e carico di variazioni. Si, una delle note è il tabacco. Sulle altre, siori e siore, impossibile distinguere.
E' un odore che ti si aggrappa alle narici e prende la residenza.
Non ci vuole troppo tempo: mezz'ora dopo, mentre sorrido ebete all'orizzonte, sto pensando che quell'odore mi è già familiare.

Usciamo dal parcheggio dell'aeroporto e il paesaggio è un immediato spettacolo, affascinante ed esotico.
E' una rapida immersione nel nuovo mondo.
Colori vividi, vegetazione estranea, persone che camminano senza fretta lungo i lati della strada - che collega l'aeroporto alla capitale del Malawi.
Dettagli che raccontano un tempo fermo - che associo subito alla realtà rurale, spartana che forse si poteva incontrare anche nelle strade del mio paese cent'anni fa.
A rompere la suggestione di questa macchina del tempo, solo le auto, qualche costruzione più moderna e qualche parabola sulle case qua e là.


La nostra prima tappa è la casa dei comboniani di Lilongwe.
Si trova in un quartiere moderno, residenziale, distonico rispetto al resto del paesaggio.
Ci offrono acqua, coca cola, mangiamo biscotti. Francis e Mennea pranzano. Noi non ci uniamo a loro, siamo cotti dal viaggio e il pessimo pranzo servito sull'aereo ha nauseato tutti.

Sono emozionata. Là fuori c'è un mondo sorprendente, vorrei ripartire subito, la stanchezza non mi placa. Frenesia da esploratrice.
Vengo esaudita in fretta, ripartiamo in poche manciate di minuti, direzione Zambia.
Sempre dritti, impossibile sbagliare. C'è una unica strada, fiancheggiamo persone a piedi o in bicicletta, baracche, banchetti con frutta, poche altre strutture per le prossime tre ore di viaggio.
La savana bruciata dal sole a perdita d'occhio.

La frontiera è un agglomerato di uffici, auto e camioncini parcheggiati. Mi colpisce il registro cartaceo coi nomi di chi attraversa il confine. Mi piacerebbe essere un tantino meno stanca e spendere un po' attenzione sui dati delle persone che per turismo o affari mi hanno preceduta compiendo la medesima trafila burocratica alla dogana.
Confine politico disegnato col righello dal nostro ex re Vittorio Emanuele, mi dicono dalla regia.
Son cotta invece, cervello in stand by, provo a leggere dei nomi, le calligrafie incerte non aiutano.

Noto un poster che dice The real woman waits. Campagna sociale per la prevenzione dell'aids suppongo. Poco più lontano c'è una ciotola con dei preservativi "governativi".

h 18:00 Chipata - ZAMBIA

Altri 30 km e arriviamo alla nostra meta: Chipata.



Prima di entrare in città passiamo a casa di Mennea e sua moglie Risola. Ci aprono i custodi che abitano in una casetta all'interno di un muro di recinzione.
La loro abitazione è grande, occidentale per struttura e dettagli. Semplice, curata.
Nella veranda conosciamo Risola, la loro amica Soliera, i due figli gemelli, un cagnone e due bei gattoni rossi. Niente leoni per il momento.
Torneremo qui a cenare più tardi.

E' già buio, arriviamo alla missione nella quale rimarremo ospiti, per sistemare i bagagli.

La prima impressione per me e Corista è molto positiva. Noi due fanciulle del gruppo abbiamo una stanza graziosa nell'edificio principale della missione. E' accogliente, abbastanza pulita e dotata di zanzariere alle finestre e sui letti.



Per i maschietti invece l'alloggio è una camera doppia in un edificio minore del complesso. Hanno letti a castello corti e scomodi. Non c'è acqua calda in bagno e - Orrore - nessuna zanzariera. Potrebbe sembrare un ostello ma asssai più spartano.

Siamo qui da pochi minuti e mentre visitiamo la zona delle camere dei ragazzi, salta la corrente. Aggirarci per la sconosciuta missione sperduta nella savana (siamo a pochi centinaia di metri dalla strada principale di Chipata ma la civiltà sembra già svanita qui intorno, zero luci) sembra la scena di un film. Un film ambientato in un carcere. Alcatraz diobenedetto.

Plettro mi dice sottovoce che l'assenza di zanzariere per lui è davvero troppo. Non gli pare accettabile.
Ci dicono che le zanzare in questa stagione - qui è inverno - non ci sono. Lui la pensa diversamente, anch'io non sono pienamente convinta. Autan, ultrasuoni e fornellini non resteranno in valigia.
La reazione di Plettro mi agita, mi sento dispiaciuta. Quasi responsabile del suo malcontento, come fosse stata mia la decisione di alloggiare i ragazzi nella suite di Guantanamo.
Bambo Francis glissa l'argomento malariche zanzare con l'esaustiva frase: E' inverno, non ci sono.
Non siamo affatto persuasi.

Plettro mi sussurra una frase che mi punge dolorosa: "Venire qui mi sarà servito a capire che non fa per me".
La cancello subito dalla memoria.
Ho davvero la speranza che cambi subito idea. Siamo qui per questo.
Per Vivere.
Non per aver conferma dei nostri pregiudizi.
Viviamo, senza cercare conferme alle nostre paure, lasciamoci invece stupire.

Sono certa che giorno dopo giorno i disagi, i timori, saranno cancellati dalle gioie, dalla meraviglia, dalle nuove abitudini, semplici, di questo nuovo mondo.
Sono sicura che gli passerà. Lo ripeto nella mia mente come un mantra.
Cerco di mettere a tacere il dispiacere, non gli dico altro per stasera, lo coccolo un po' - con discrezione - nel viaggio verso casa di Risola e Mennea.

La tavola imbandita e l'entusiasmo dei nostri ospiti mi aiuteranno a distrarlo.
La cena è squisita. Mi sto addormentando sul bis di pollo, riso e ceci.
Una zanzara o chissàchè punge Plettro sul dito e rovina l'opera. Resto positiva.
Lui ogni tanto si perde nelle sue preoccupazioni, mi sforzo di non notare il suo disagio.
Sono sicura che gli passerà.

Alle 9,30 siamo di ritorno nella missione, nel salone guardiamo sulla tv satellitare qualche gara delle olimpiadi, Bambo Francis ama quelle di tuffi.
Io e Corista fuggiremo a dormire prima dei ragazzi.
Crollo come un sasso, ben coperta, fa davvero freddino, sistemo la zanzariera comunque.

Mi sembra incredibile.

2 commenti:

  1. Mi sto appassionando a questo racconto e a questo mondo così lontano, così diverso... :)

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    Risposte
    1. Ne sono felice Valeria:)
      Se hai suggerimenti per migliorare questo esperimento di racconto/diario via blog, te ne sono grata!

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